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Capitolo 2

30 gennaio 2016

Ci siamo svegliati ad Addis Ababa all’ alba, incontro a Fekat Circus con il nostro mezzo per caricarlo di tutto e tra strutture e zaini siamo partiti.

I primi panorami africani dopo aver lasciato la caotica capitale tra babbuini e capanne di fango sono stati un portale per iniziare il viaggio Circo Inzir.

Arrivati a Abse Teferì abbiamo fatto una camminata per la strada principale tra fango e conducenti di pullman incuranti della sicurezza.

I bambini ammaliati da questi strani, pallidi individui, iniziarono a seguirci sempre in di più, fino a creare uno sciame, facendoci domande incomprensibili, prendendoci per mano a gruppi e osservando i nostri movimenti come se non avessero visto niente del genere prima d’ora.

Mercati improvvisati di cereali, banane, cipolle e khat (Catha Edulis): foglie di una pianta con proprietà lenitive per lo spirito e per il corpo, che aiuta a non sentire la fame e allieva dalle inclemenze del proprio destino.

Tornati a casa al calar del sole andiamo a riposarci tra una cena a base di pasta e chiacchiere.

1 febbraio 2016

Fortunatamente in uno dei giorni più miti in questo periodo, (di solito la temperatura arriva a 45 °C all’ ombra) siamo arrivati a Dire Dawa per incontrare Ivan e la sua famiglia. Lui arrivò in Etiopia sette anni fa e con incrocio di sguardi, si innamorò di una bellissima ragazza e senza parlare la stessa lingua decisero di sposarsi. Se ne andò in Italia, ma poco dopo tornò a riprendersela e portandola in Italia iniziarono il loro viaggio di vita insieme a San Leo, dove aprirono uno dei più rinomati ristoranti etiopi.

Ogni anno ritornano al villaggio della moglie e Circo Inzir, prendendo la palla al balzo, organizza il primo spettacolo, tutti insieme, a Ghende Korè.

Dire Dawa: mercato, strade polverose, fiume in secca dove gli abitanti pregano, alcuni vivono e tutti depositano i loro rifiuti, aspettando il periodo invernale dove l’ acqua porterà via e pulirà tutto quanto.

Solomo, il nostro inzirino etiope, ci porta a visitare la scuola di circo e lì durante una mini riunione, tra un mini workshop di palo cinese di Nico e i virtuosismi acrobatici di un mini agile con il suo porter, decidiamo di andare ad Harar il giorno dopo.

2 febbraio 2016

Dopo una mattinata di viaggio siamo giunti a Harar, per prenderci un giorno di riposo, trasformato però in una lotta contro il tempo per la riorganizzazione del mezzo di trasporto, non adatto alle strade che ci avrebbero portato nei villaggi sperduti considerati mete importanti del Circo Inzir.

Al giungere della sera, tra mille peripezie e indecisioni ci siamo incamminati fuori dalle mura, accompagnati a piedi da giovani ragazzi, per osservare da vicino le iene.

La storia racconta che le fameliche e temute bestie, furono clementi con degli sfortunati, incontrati dopo il tramonto fuori dalle mura della città e dal quel momento, ogni anno, il popolo offre del cibo in segno di ringraziamento.

Piano piano però, il gesto ritualistico si trasformò in attività turistica.

Ogni sera in un posto prestabilito, tutte le persone che sono interessate possono addirittura dare da mangiare alle iene, abituate ormai al contatto umano.

Questi feroci animali traditi dalle orecchie a orsacchiotto, con la coda tra le gambe e movimenti timidi si avvicinano al gruppo di umani assicurati da luci di macchine nella notte, per vederli da vicino.

A cena conclusa torniamo all’ostello e lì, attorno ad un fuoco improvvisato sopra una lamiera e l’ aiuto di Solomo, intervistiamo il guardiano. Un inno alla fratellanza tra persone di mondi diversi che si trasforma nell’ennesima incomprensione culturale tra pagamenti e ricevute.

In una situazione allucinante e sfiniti dallo sperpero energetico andiamo a dormire.

3 Febbraio 2016

Alla mattina carichiamo il nostro pullman e ci dirigiamo a Kobo, dove ci siamo ricongiunti a Ivan; cambiamo il mezzo, più adeguato alle strade non asfaltate e partiamo.

Venti minuti dopo, fermi per una gomma bucata.

Risolto il problema riusciamo ad arrivare a Ghende Korè dopo quattro ore di viaggio tra buche, massi e ripide salite, almeno cinque posti di blocco gestiti da poliziotti e militari armati con la bocca piena di khat.

Ghende Korè: un villaggio a 2500 mt di altezza formato da gente ospitale, bambini bellissimi avvolti dal sorriso della purezza e donne meravigliose e coloratissime, circondato da montagne imponenti.

Conosciamo tutta la famiglia di Ivan, ci fanno alloggiare in una stanza e ci laviamo con la poca acqua che quotidianamente riescono a raccogliere dalla terra.

Preparano per noi del cibo squisito, con dell’ injera non acido e più gustoso per i nostri palati perché mescolato col sorgo, ci filmano mentre mangiamo, come se fossimo degli umani venuti da un’ altro mondo, un’attrazione.

Con una danza rituale, insegnataci per chiedere alla padrona di casa dell’arakia (grappa di grano) la cui lavorazione è molto faticosa e lunga, ci apriamo tutti insieme a balli e musica.

Ci raduniamo tutti nella nostra stanza e in un grande cerchio iniziamo a conversare e a stare insieme tra il rito del caffè e una meravigliosa energia.

La preparazione del caffè, considerata una cerimonia, viene gestita dalla donna di casa, che prende i chicchi del caffè ancora verdi, li tosta sul fuoco fino al momento giusto, dove li macina a mano con un mortaio e da lì prepara la bevanda da offrire a chi la desidera.

Non siamo ancora sicuri, ma il contenuto di caffeina deve essere molto alto rispetto al caffè italiano, dato che ce ne basta uno al giorno per avere lo stessa sensazione di casa.

Il cielo di sera, senza elettricità, è imbarazzante da quanto è potente.

Gli uomini organizzano turni notturni, per il pericolo di attacchi da parte delle iene, e per proteggere i preziosi campi di khat, armati di luci e bastoni, sembrano lucciole che danzano nella notte. Quindi non sono consigliate in generale passeggiate notturne soprattutto in solitaria.

4 Febbraio 2016

Alla mattina, dopo esserci svegliati e gustata una colazione squisita a base di frittelle di sorgo, caffè e latte di mucca appena munto e bollito, andiamo al villaggio a piedi per montare le varie strutture per la prima volta.

Senza che ce ne rendiamo conto però, il sole piano piano si alza e nel mezzo della preparazione arriva a dei livelli che per noi, dalla pelle delicata, diventa deleterio.

Riusciamo però a montare la struttura aerea, la struttura della corda molle e quella del palo cinese.

Nello spiazzo davanti alle strutture scolastiche del villaggio, alla fine si è creato uno scenario che mai avremmo immaginato e distrutti ritorniamo velocemente alla nostra dimora per mangiare, ultimare i preparativi e riprenderci dall’insolazione già evidente in alcuni di noi.

Senza che ce ne rendiamo conto, il tempo vola e subito ritorniamo al villaggio per iniziare il primo spettacolo del Circo Inzir al completo.

In ritardo e in tutta fretta ci prepariamo, ci scaldiamo e…..via!

Non appena Giulio lancia la prima pallina, un vento sempre più costante boicotta il collettivo di clave, i bastoni di fuoco di Mat, ma rende interessante la prestazione di Pinky, affascinanti i movimenti di Linda con il suo corpo e la sua corda in modo inaspettato.

L’ assenza della musica nella playlist del numero del Bechin, (anche se Angelina suscita sempre un indubbio fascino)

il palo di Nico completamente liscio,

l’ elasticità della struttura di corda molle di Vale completamente diversa dalla sua,

il suolo sabbioso e non idoneo alle prestazioni olimpioniche di Solomo,

il volontario nel numero di mimo di Sara, completamente perso, forse per il troppo sole o per il troppo khat,

e il numero di corda di Gera che ha rischiato di trasformarsi in un caos

hanno caratterizzato tutto lo spettacolo.

Ma grazie ad un Francesco, fonico eccellente ed all’ agire come se i numeri di ognuno fossero i numeri di tutti, con il mantra ” the show must go on”

Circo Inzir ha portato il suo messaggio dove voleva portarlo e per noi questo è tutto.

Con il sole ormai tramontato, mentre Sara e Gera cercano di gestire i bambini e tenerli lontani dalle strutture, gli altri smontano tutto. Ricarichiamo il mezzo che il giorno dopo ci avrebbe portato indietro.

Andiamo a dormire stanchissimi, senza capire molto, ma felici.

5 Febbraio 2016

Abbiamo salutato tutti e impiegato, per il ritorno, la metà del tempo dell’ andata.

Siamo arrivati fino al paese prima di Kobo, dove un poliziotto ci ha fermati: guardato le gomme, assicurato che il conducente non masticasse khat e chiesto informazioni sulla tipologia del nostro viaggio e chi fossimo.

Per una serie di complicazioni legate a permessi sugli spettacoli, abbiamo pensato che ci chiedesse dei soldi per proseguire, invece dopo essersi assicurato che tutti avevamo i documenti, ci ha lasciato semplicemente il suo numero di telefono, dicendoci che se avessimo avuto degli eventuali problemi durante il viaggio in Etiopia, lui, avrebbe garantito per noi: spettacolo!

Arrivati a Kobo abbiamo di nuovo risistemato tutto sul nostro mezzo e con il nostro conducente Mesfin siamo ritornati a Abse Teferì, dove avevamo passato la nostra prima notte all’inizio del viaggio.

Prima del calare del sole abbiamo costruito una coreografia di acrobatica, trick e passing di clave e ci siamo lavati da tutta la sabbia che portavamo.

Organizzazione del viaggio e riposo.

6 Febbraio 2016

A colazione ci siamo guardati in faccia e Giulio non riusciva ad alzare la spalla sinistra, Solom gli faceva male il polso e Nico con la febbre.

Ci prepariamo per fare uno street show e ci dirigiamo nel punto più affollato del paese.

Creiamo cerchio e iniziamo senza neanche l’aiuto della musica, gente incredula ma attenta, il cerchio diventava sempre più grande, fino ad occupare pericolosamente la strada principale, quindi velocemente terminiamo.

Intanto anche Valeria inizia a non sentirsi bene.

Salutiamo e ritorniamo al bus per partire, arriviamo ad un ostello e Nico e Valeria rimangono a riposare mentre la febbre sale e Sara rimane a dispensare paracetamolo.

Gli altri partono per una giornata al parco Awash, per vedere coccodrilli, lupi etiopi e mosche zte zte.

Il viaggio continua sempre e comunque.

Riflessioni (aba Francesco):

Tra oggi ed Harar un turbinio di esperienze ci ha fatto da guida.

L’essere visti come turisti, come farenji, insieme alle varie disavventure con il pulmino ed annesso autista ci ha logorato. Qui siamo diversi, nel nostro pulmino bianco candido diventiamo piccoli pesci esotici che spendono la loro vita in un acquario, osservati dal mondo che li circonda. In aggiunta il retaggio mentale a cui gli indigeni sono stati abituati ci identifica come ricchi: dopo farenji o youyou la parola che più ci viene rivolta è money.

Ghende Korè è la nostra isola di salvezza, è il nostro collante, il primo vero punto di contatto per il gruppo. Qui siamo farenji, ma solo per il nostro aspetto. Le persone sono incuriosite, non meno di quanto noi lo siamo difronte ad un animale selvaggio o ad un usanza culturale nuova. Una curiosità positiva che ci riempie gli occhi e l’anima. Per la prima volta siamo un gruppo unito con lo scopo di far passare un’ora diversa a persone, che per gli occhi di un mondo occidentale sono meno fortunate.

L’esperienza di costruire lo spettacolo partendo dalle tante individualità ci rende un gruppo.

L’Io diventa parete di un super-Io che ha un’obbiettivo più importante: distruzione e ricostruzione di noi stessi come parte di una collettività.

I diverbi e le discussioni continuano ad esistere ma è incredibile vedere come si spengano alla strenue di piccoli fuochi sotto un temporale.

L’energia dello spettacolo imminente è il punto di unione.

Lo spettacolo di per sè inizia e finisce senza lodi e senza infamia. Troppo vento e sabbia, troppo caldo, troppi interventi e poco tempo scandito da un sole ostinato a voler scendere, uniti ad errori di musica e dimenticanze varie, rendono il percorso tortuoso; adesso non importa, una nuova onda di energia è capace di spianare ogni salita.

Le persone sono contente e noi siamo contenti; questo ci basta.

Ripartiamo da Ghende Korè con uno spirito diverso.

Per arrivare a Goba abbiamo un viaggio lungo di fronte a noi, condito da una piccola pausa ad Abse Teferì in cui memori di un primo contatto positivo con i bambini del posto proponiamo un piccolo spettacolo street.

Delusione ed indecisione salgono quando quella piccola folla curiosa e allegra non si ripresenta: cominciamo lo stesso e dopo pochi minuti un’altra folla ci accerchia arrivando a bloccare il traffico del piccolo villaggio.

Ripartiamo verso un’altra tappa importante, il cambio di bus ed autista.

Il viaggio da Awash a Goba è infinito.

Sarà però il nuovo mezzo meno farenji o la rinata fiducia nell’autista o semplicemente una zona d’Africa diversa popolata da persone diverse, fatto sta che tutto il gruppo sente un energia nuova e positiva.