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Capitolo 6

Polvere

Chissà perchè le città di frontiera lasciano in me il ricordo di strade polverose, un ricordo fatto di occhi socchiusi, di sedie e di sguardi che seguono indifferenti il tuo attraversare.

Polevere e confusione.

Sarà che forse sono tanti quelli che passano e pochi quelli che si fermano, così la polvere non ha mai il tempo di posarsi.

Il passaggio da Messico a Guatemala è evidente, una linea invisibile che separa nettamente due mondi.

Non c’è più nessuno che grida cantilenando quello che offre nel suo negozio o sul suo carrello da ambulante.

Le case in muratura lasciano spazio a case di legno (almeno in campagna), è un paese più povero e te ne accorgi già in frontiera.

La dogana Guatemalteca de El Ceibo è formata da due prefabbricati e due rimorchi di camion, tutti facenti funzione di ufficio.

Il nostro passaggio però è stato stranamente rapido, sia dalla parte messicana che da quella guatemalteca tutto è filato liscio e i doganieri si sono dimostrati insolitamente rilassati e disponibili.

C’era un campo da calcio e sembrava quasi che la linea di metà campo unisse i due stati, i bambini stavano giocando, chissà che non si trattasse di una partita di qualificazione al mondiale.

Passiamo la prima notte a El Naranjo, paesino di frontiera, quindi polveroso, alle 8 di sera già qualcuno è ubriaco, ed è tra i più socievoli.

I negozianti non sorridono, quasi nessuno lo fa, qualcuno gira armato, motociclette sfilano continuamente sulla strada principale, cavalcate da uomini, donne e intere famiglie.

I taxi sono delle “ape”, le facciate dei negozi e delle case sono verniciate, ma solo quelle che danno sul viale, il resto è grigio o color legno.

Il nostro albergo è carino, anche se quelli messicani erano generalmente più puliti.

Il caldo soffocante, insieme all’umidità, crea un clima ideale per le muffe che si ostinano tra le piastrelle del bagno, ngli angoli del piatto doccia, nel lavandino.

La gente non sorride in guatemala?

No, la gente sorride meno nelle città di frontiera di tutto il mondo credo.

Forse sorridono meno perchè percepiscono meglio il paradosso di linee immaginarie che dividono senza fantasia.

Il giorno dopo siamo diretti a Dolores, ci fermiamo sul Lago di Flores, un posto incantevole, molto turistico, lo si nota da testoline bionde che spuntano qua e là.

L’acqua è limpida, invita e noi accettiamo…

Un bagno veloce, pranzo e si riparte.

Ormai siamo in pieno tropico e a ricordarcelo arriva un acquazzone improvviso, violento e rapido, subito dopo è già sole e umidità.

Arriviamo a Dolores che è buio, cerchiamo la casa di padre Ottavio e grazie ai ricordi di Gabo la troviamo agilmente.

L’atmosfera di Dolores è decisamente più rilassata di El Naranjo, gli sguardi ti seguono ma ora si percepisce più curiosità che indifferenza.

Il mezzo di trasporto più usato rimane la motocicletta, cavalcato indistintamente senza casco da uomini e donne.

Un vicino ci comunica che padre Ottavio non è in casa così ci dirigiamo verso il collegio.

In realtà siamo arrivati con un giorno di anticipo….

Ad accoglierci arriva Enrique, un ragazzo alto, magro e con un sorriso largo:” benvenuti, vi aspettavamo domani, ma stanotte ci si può organizzare alla buona.”

Così, spostando letti e materassi allestiamo la nostra stanza provvisoria.

Subito dopo conosciamo il vicedirettore del collegio, che, già in pantaloncini ci comunica che da lì a mezz’ora sarebbe iniziato un mini-torneo di calcetto … Io (Giulio) e Sandro decidiamo di accettare l’invito … si gioca!

Il collegio è in cima a una salita appena fuori dal paese, studiano qui una ottantina di allievi, di cui circa 35 residenziali, ossia ragazzi che dormono qui dal lunedì al venerdì.

Costruito su un’area che equivarrebbe più o meno a tre campi da calcio, si compone di una decina di edifici in muratura grezza (senza intonaco); i tetti sono di di lamiera, gli infissi variano dalle reti da pollaio, al legno, al ferro, non c’è traccia di finestre di vetro.

Due sono adibiti a a dormitori, in cui è incastonata una cappella.

Due ospitano tre grandi aule dove si svolge la didattica.

Una sala computer.

Tre bagni/docce.

Una biblioteca.

Una specie di palchetto coperto che dà sul campo da calcetto.

Una mensa con annesso baretto.

Poi c’è la lavanderia col suo sistema di lavaggio particolare:

in una delle sale doccia è stato costruito un vascone in muratura ai cui bordi sono appoggiati dei lavandini sempre in cemento.

Nel vascone viene raccolta l’acqua piovana, la si raccoglie con un secchio e la si versa nei lavandini, quindi si insaponano e risciacquano i panni a forza di olio di gomito e secchiate.

Essendo gli scarichi dei lavandini isolati, l’acqua nel vascone rimane sempre relativamente pulita.

Il vero problema per ora è stenderli i panni! Visto che sta piovendo almeno una volta al giorno.

Comunque la prima sera qui è filata via, le partite hanno avuto il grande merito di far si che il giaccio si rompesse immediatamente.

Io mi sono stirato un polpaccio, Sandro si è beccato una contrattura al polpaccio, ma questo era inevitabile correndo dietro a dei sedicenni scatenati.

Ieri pomeriggio abbiamo invece fatto la riunione col vice direttore per capire come incastrare i laboratori di circo,

avendo molte meno ore rispetto a quelle ipotizzate abbiamo dovuto rivedere tutta la struttura dei corsi, vediamo come andrà …

In serata abbiamo finalmente conosciuto anche padre Ottavio: jeans, maglietta, cappellino e un grosso “tao” al collo, giusto il tempo di due chiacchiere veloci…

Ora si entra nel vivo del progetto, lunedì inizieranno i laborarori, sabato probabilmente faremo il primo spettacolo qui a Dolores… i ragazzi sono stupendi e sembra abbiano tanta voglia di divertisrsi ed imparare un po’ di circo.

Guardando le nostre faccie si legge un po’ di perplessità, dubbi e incertezze varie … ma la forza di circo inzir è sempre stata la capacità di adattamento rapida… sono fiducioso….